03 giugno 2014

MEMORIAL FABIO ALETTI: L'INTERVENTO DI COACH ANDREA SCHIAVI

Mi sono sempre occupato di attività giovanile e da ormai 30 anni alleno nel settore giovanile a vario livello. Ho visto crescere tante generazioni di ragazzi e di atleti e con i relativi spostamenti logistici tra Varese, Arezzo, Bergamo e di nuovo Varese. Ho quindi potuto sperimentare anche realtà diverse per caratteristiche sociali e peculiarità geografiche.
E’ veramente difficile generalizzare e trovare delle chiavi di lettura per poter tracciare una strada per migliorare un sistema sportivo ed educativo complesso e a volte complicato. Quello che è sicuro che è sempre più difficile fare sport. Questo lo dico per gli allenatori, ma penso anche alle mille problematiche relative alle competenze che deve avere una Società Sportiva un Presidente di Società o più semplicemente un Dirigente.
Di sicuro certe modalità che potevano essere accettate nel passato, adesso, non lo sono più; sia a livello di competenze tecniche (difficile trovare un allenatore senza tessera in panchina, prima era la consuetudine), sia a livello di sicurezza, sia a livello amministrativo.
C’è in generale più competenza, ma anche molta più diffidenza. C’è molta più consapevolezza che fare sport fa bene, educa e crea (tendenzialmente) influenze positive sulla personalità, ma le difficoltà del lavoro sul campo a volte superano i benefici riscontrati.

Come la maggior parte degli allenatori svolgo questo ruolo per passione, ma comunque oggi giorno, non è permesso fare errori. Alleni con il sorriso e vieni criticato perché non insegni nulla. Alleni insegnando con dovizia di particolari e non va bene perché i ragazzi non si divertono, Alleni con la giusta modalità e quindi fai migliorare i ragazzi facendoli divertire e non va bene neppure quello perché fai giocare sempre i soliti… e potrei proseguire all’infinito… E queste cose ve le dice uno che ha un certo tipo di esperienza, figuriamoci un istruttore alle prime armi o un allenatore giovane che si sta preparando ad entrare a pieno titolo in questo mondo…
Mi pare che ci sia sempre di più una ricerca spasmodica di qualcosa che non c’è, piuttosto che il riconoscimento positivo rispetto a quello che c’è, che seppur migliorabile, è già una buona cosa. L'erba del vicino non è sempre più verde. Bisognerebbe riconoscere meglio le cose positive di quanto stiamo facendo e perseguirne contenuti e valori, fino in fondo. 

Una premessa importante nel modo di intendere il mio ruolo di Allenatore è che mi sono sempre fidato di più delle persone, piuttosto che dei massimi sistemi. Ho cercato di dare più importanza alla qualità umane, piuttosto che al saper compiere bene o male un gesto tecnico. E di questo ne sono sempre più convinto. Esperienze più o meno lontano nel tempo mi hanno sempre portato a pensare che prima si formano gli uomini (o le donne) e poi i giocatori o le giocatrici. Una grande persona è molto probabile che arrivi ad esprimere il suo massimo potenziale umano e tecnico. Diversamente fallimenti più o meno grandi sono la scontata conclusioni di percorsi a cui mancano dei pezzi e di cui siamo stati testimoni nel passato, ma ancora oggi vediamo purtroppo nelle nostre palestre.
La direzione da prendere per allenatori, dirigenti, preparatori, istruttori che si occupano di categorie giovanili, dovrebbe essere quella di riconoscere i talenti, ma assecondando anche il merito nello sforzo rispetto al percorso. Educare i ragazzi a capire che lo sforzo quotidiano e l’attitudine a migliorare sono qualità che una volta fatte proprie possono davvero cambiare il senso a molto del nostro essere. E’ l’impegno che determina la riuscita, non solo il talento.

Di sicuro però c’è un problema di fondo che rimane forse il più difficile da superare. Come operatori del mondo giovanile, non solo abbiamo a che fare con il periodo più intricato e difficile della vita delle persone, cioè l’adolescenza, ma in più, soprattutto negli ultimi 10 anni il mondo sta cambiando sempre più velocemente. Spesso non ce ne accorgiamo nemmeno noi un po’ più “vecchi”. Ma i giovani vanno al doppio della velocità. Non so se è un bene o un male in certi casi e situazioni, ma il sistema pare difficile da fermare o da far rallentare. 15 anni fa ci dicevamo che fare sport significava rimanere lontano da certe pratiche giovanili negative. Ma oggi giorno, se abbiamo una squadra di 15 adolescenti (tra i 14 e 17 anni) le statistiche ci dicono che almeno la metà fuma o beve alcol, la metà di questa metà fa uso di sostanze… Però noi operatori facciamo fatica a capire la situazione, figuriamoci predisporre eventuali piani di intervento, magari in accordo con gli altri ambienti educativi, famiglia, scuola, parrocchia… sarebbe bello… ma non sempre si riesce.
Chi di noi non rimane al passo con i tempi moderni è facile che venga escluso. E’ facile non essere più in sintonia con i ragazzi che hai di fronte. Parlano un'altra lingua, si muovono diversamente. Comunicano differentemente. E se non stai al passo la fiducia inizia a mancare. In mancanza di fiducia il rapporto interpersonale non ha più l’effetto sperato e il rapporto educativo perde di efficacia.

A mio parere tre capitoli importanti per poter provare a dare soluzioni a tutti questi problemi:

1) Dare l’esempio sempre e comunque. Come allenatore, come istruttore, come adulti più in generale non posso sbagliare un colpo. I nostri ragazzi (soprattutto quelli più giovani) ci guardano!!

2) Far sperimentare a fondo la passione per qualche cosa. Il calcio, il basket, la pallavolo… sono il mezzo per attirare attenzione, concentrazione, impegno, dedizione… ma se riusciamo far impegnare una persona profondamente in qualche cosa abbiamo aperto una strada…

3) Aiutare i genitori ad esserlo in maniera più efficace, utile, adeguato, fruttifera. Da quello che vedo nella mia pur incompleta esperienza la categoria dei genitori è quella più in difficoltà in questo momento e va aiutata. Comprendere che se un ragazzino sta in panchina per un po’ gli fa solo bene, se una volta si prende una lavata di capo dall’allenatore gli può servire per maturare, se perde una partita è un bene perché non si può sempre vincere, se un arbitro gli fa un torto è giusto che se ne faccia una ragione perché nella vita capiterà di subire altri torti e solo colui che sarà ben allenato a vedere il problema come opportunità di crescita e non come un alibi a cui aggrapparsi in caso di sconfitta sarà una persona migliore e potrà continuare a testa alta a vivere al meglio la propria esistenza.